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Dieci chili di droga in macchina. A processo, ma l’auto non è sua. Giovane assolto dalle accuse

15-11-2023 16:03

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Dieci chili di droga in macchina. A processo, ma l’auto non è sua. Giovane assolto dalle accuse

La polizia aveva trovato hashish e marijuana nascosti in una Citroen ferma in via Fabbri. Si era intestato la vettura per fare un favore ad alcuni ami

La polizia aveva trovato hashish e marijuana nascosti in una Citroen ferma in via Fabbri. Si era intestato la vettura per fare un favore ad alcuni amici, ma era ignaro del suo utilizzo.

 

Lo aveva detto sin da subito. Con quella macchina stracarica di droga lui non c’entrava nulla. Sebbene ne fosse formalmente l’intestatario, era ignaro dei traffici per i quali veniva utilizzata da altri. Una spiegazione che, alla fine, ha convinto anche il giudice. Finisce così l’incubo nel quale era piombato un 23enne ferrarese, finito a processo per spaccio e assolto. Il giovane doveva rispondere di dieci chili di hashish e marijuana nascosti in un’intercapedine ricavata all’interno di una Citroen C5 parcheggiata in via Fabbri e scoperta dalla polizia a maggio. La lente degli investigatori si è subito concentrata sul ragazzo, risultato essere l’intestatario della vettura. Sin dal primo momento, il 23enne aveva spiegato come stavano le cose: si era intestato la macchina per fare un favore a due amici che, in cambio, gli avevano dato del denaro. Da quel momento in poi non ne aveva più saputo nulla.

 

Ma per rafforzare questa versione e sfuggire a una condanna ci volevano prove solide. Elementi che sono emersi solo al termine delle indagini difensive coordinate dai difensori del 23enne, gli avvocati Denis Lovison ed Elena Smanio. Il lavoro dei legali si è dipanato su diversi fronti, dall’acquisizione dei tabulati telefonici da ‘collocare’ su una mappa alla richiesta di immagini delle telecamere autostradali che cristallizzassero i movimenti dell’auto e chi era effettivamente al volante, passando per le verifiche con il cianoatrilato, metodo impiegato per ricercare impronte digitali latenti. Il momento della verità è arrivato ieri pomeriggio, dopo la discussione in aula. Il pubblico ministero ha chiesto la condanna a tre anni di reclusione, oltre a settemila euro di multa, mentre i difensori hanno insistito per l’assoluzione. 

 

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